mercoledì 14 novembre 2007

Le ricette per il calcio malato

La Uisp ci invia oggi un comunicato sulle misure da prendere contro la malattia del calcio. La sostanza se riesco a distillarla dalle tante fumose parole è il proposito di rifondare la cultura del calcio proponendo “percorsi di mediazione, aprendo canali di dialogo tra tutte le componenti - tifosi inclusi - favorendo politiche di accoglienza e inclusione, fare dello stadio un luogo aperto e festoso. Non un bunker”. E per questi fini si chiede al Governo lo sblocco di certi fondi nella Finanziaria in approvazione.

Voi ci avete capito qualcosa? Io poco. Posso dire le mie di idee?
La cosa fondamentale da cui tutto il resto discende è il grande salto culturale: il calcio in Italia deve diventare un vero business. Un vero business pulito. Uno spettacolo. In altre parole il calcio deve diventare un settore come tanti altri dello showbusiness, con imprenditori che investono in esso perche sperano di ricavarci dei soldi.

Da questo discendono gli stadi di proprietà delle squadre, stadi che sono degli spazi sociali frequentati anche quando le partite non ci sono e che producono denaro 7 giorni su 7, stadi che sono belli, che tutti, le famiglie, i bambini, le donne hanno piacere di frequentare. Posti dai quali certa gente si terrà alla larga non perché intimidita dai manganelli della polizia ma perché ci si sentirà a disagio.

L’alternativa al calcio dello showbiz è il calcio che abbiamo oggi: stadi vuoti che sembrano dei bunker, filo spinato e fossati. Presidenti che usano il calcio come moneta di scambio politico, serbatoio di migliaia e migliaia di voti. Calcio come strumento di riciclaggio di denaro di dubbia provenienza, campo di prova del’ingegneria dell’evasione fiscale. Paura e violenza!

Ma il calcio così come lo vediamo oggi fa comodo a troppa gente. E quindi non credo che esistano dei veri incentivi a cambiare qualcosa. Le buone intenzioni non servono a nulla e non producono nulla.

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